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11/05/2021

Giulio Arnoldi, appassionato fondatore e amministratore di HW Style, azienda italiana con oltre 30 anni di esperienza nella progettazione, realizzazione e manutenzione di spazi verdi interni ed esterni, ci parla di biofilia, studi della Nasa e di BAM.

PN: Qual è la tua mansione all’interno di HW Style?
GA: Ne sono fondatore e amministratore, con mansioni commerciali, mi piace seguire i clienti e i progetti personalmente. L’azienda è cresciuta molto, siamo in 220 e siamo leader nel mondo del verde in Italia, con anche alcuni progetti all’estero.

PN: Come ti sei avvicinato al verde? E’ una passione diventata lavoro?
GA: La mia famiglia si occupava di piante d’interni, soprattutto fiorite, nel 1988, subito dopo il servizio militare ho avviato HW Style per conto mio. A 21 anni, appena completati gli studi in agraria sono partito dal verde da interno. Poi, dalla progettazione, realizzazione e manutenzione del verde di banche, alberghi, uffici e ristoranti sono passato alle terrazze, strutturando l’azienda.

PN: Ti porti il lavoro a casa? 
GA: Sì, c’è tanto verde anche nella mia vita privata. Il lavoro è parte integrante della mia vita ma la nostra è ancora una old economy legata ai “ferri del mestiere”.

PN: Ti consideri un ambientalista?
GA: Sì ma non radicale. La salvaguardia ambientale è una priorità, mi infastidisco anche solo vedendo una carta lasciata a terra mentre faccio sport all’aperto, ma non manifesto per questo. Il mio impegno riguarda progetti locali con le amministrazioni, come la gestione dei parchi agricoli.

PN: Il tunnel degli alberi a Madrid è forse la massima espressione di “ufficio nel verde”. Come sono i vostri ambienti lavorativi?
GA: Abbiamo una serra dove teniamo anche le riunioni e, come vedi (gira la cam del pc a inquadrare delle grandi piante da interni), il verde è parte integrante dell’arredo.

PN: Preferisci “arredare” il verde d’interni o quello a cielo aperto?
GA: E’ indifferente, mi appassiono sempre su ogni singolo progetto, che siano più o meno ricchi di verde, fuori o dentro gli edifici.

PN: E tra progettarlo, realizzarlo e manutenerlo?
GA: La realizzazione è un momento entusiasmante ma la manutenzione è la più importante, perché se realizzi il giardino più bello del mondo e non lo manutieni questo deperisce. È più facile realizzare che manutenere, perché in quest’ultima attività ci sono molti fattori da gestire, spesso imprevedibili.

PN: Fammi due esempi concreti di quella “passione per la perfezione” che figura nella homepage del vostro sito.
GA: La manutenzione va analizzata preventivamente e richiede attrezzature ecologiche a norma, la qualificazione del personale, la verifica del risultato finale: tutto questo concorre alla perfezione. Nella realizzazione potresti invece realizzare un giardino pensile senza preoccuparti dello strato che nessuno vedrà, quello di deflusso delle acque, disattenzione che potrebbe costarti cara. La realizzazione di BAM, ad esempio, è espressione di un progetto perfetto in ogni suo aspetto.

PN: Raccontaci di un progetto tanto breve quanto laborioso.
GA: Riguarda un evento che si terrà fra qualche mese, ai giardini della Biennale di Venezia, commissionato da uno studio inglese, che ci chiede una pavimentazione in mattoncini tipici di Venezia integrata con del verde. Un lavoro che a Venezia richiede un lavoro di ingegnerizzazione complessissimo soprattutto per il trasporto, la logistica e lo smantellamento dei materiali.

PN: Su un recente articolo apparso su Forbes, si parla di biofilia, ovvero di una propensione biologica e genetica verso il verde e dei vantaggi psicofisici che essa comporta. Sono i clienti a richiederti progetti di design biofilico (come “svolta” per i loro workplace) o sei tu a proporlo? Sono già educati in materia?
GA: Prima non c’era l’attenzione da parte dei media e dei professionisti a questa connessione dell’uomo con la natura. Noi ne parliamo sempre più spesso e anche i clienti e gli studi di architettura fanno la loro parte. Oggi un’azienda che ad esempio cambia sede, progetta spazi in questo senso.

PN: Sempre in tema di verde in ufficio, uno studio della Nasa dimostra come le piante assorbano gli agenti inquinanti provenienti dagli arredi e dalle le onde elettromagnetiche dei dispositivi. Conosci queste evidenze scientifiche?
GA: Non dimentichiamoci le colle delle moquette, le vernici, l’aria esterna, l’aria del climatizzatore o del riscaldamento: l’inquinamento degli interni è sempre maggiore e abbassa la resa negli ambienti lavorativi. Lo studio della Nasa, che risale agli anni Settanta e poi integrato con nuovi dati, conferma che in un ambiente senza verde i livelli di composti organici volatili e di CO2 sono molto elevati, col rischio di SBS-Sick Building Syndrome, che si riflette sulla redditività aumentando addirittura l’assenteismo. Mentre installando una pianta ogni 10-12mq questi composti si abbattono e la resa del singolo individuo cresce.

PN: Quindi le piante si fanno carico di questo malessere?
GA: Con la fotosintesi assorbono l’inquinamento e lo tramutano in ossigeno. Quando si parla di deforestazione si parla proprio di CO2 sempre più alta nell’atmosfera. In piccolo, questo succede anche nei nostri uffici. In assenza di luce le piante emettono CO2 ma in quantità sempre minori rispetto all'ossigeno liberato.

PN: Operativamente, cos’è cambiato in questo periodo di emergenza?
GA: Mi sono spaventato molto ai primi lockdown per le tante persone che ho in squadra, quindi ho subito attuato  tutte le attività per scongiurare eventuali contagi in azienda, ingrandendo anche degli spazi esterni, prima utilizzati come salotto e ora diventati mensa all’aria aperta, che riapriremo con la bella stagione. Ma il nostro è anche un lavoro in presenza, l’erba in smart working non si taglia e le foglie non si raccolgono da sole. Ma anche quando usciamo siamo molto zelanti nell’applicazione di tutte le azioni che ci allineino alle disposizioni di legge.

PN: Al di là dei dispositivi da adottare e delle disposizioni di legge, qual è la sfida più grande che tu e il tuo team dovete affrontare?
GA: L’organizzazione delle persone in uscita, con mezzi di trasporto adeguati e sempre sanificati e dispositivi sempre adeguati, pensa che i giardinieri all’inizio indossavano i guanti in lattice sotto quelli da lavoro…

PN: Di cosa vi occupate in Portanuova?
GA: Di tutta la manutenzione dell’intero intervento, piazza Gae Aulenti, Varesine, BAM e Bosco Verticale. Abbiamo squadre fisse ogni giorno in BAM, un punto di riferimento per i milanesi. Anche il Bosco richiede molto impegno, ma è una gioia poterlo fare da ormai 4 anni.

PN: Cosa pensi del lavoro di progettazione di BAM, realizzato dallo studio olandese Inside Outside|Petra Blaisse?
GA: Un grande lavoro, unico nel panorama italiano. Petra Blaisse l’ha progettato con una visione nord-europea che a quanto pare è risultata indovinata. Durante le sue visite ho passeggiato con lei nel parco vedendolo crescere. Tengo a precisare che BAM vive ed esiste grazie a una partnership fra il Comune di Milano, COIMA e la Fondazione Riccardo Catella, quest’ultima responsabile non solo della manutenzione e della la sicurezza ma anche di un ricco programma di iniziative culturali gratuite dedicate alla cittadinanza. Un modello di gestione tra pubblico e privato innovativo e positivo, a mio parere replicabile anche su altri parchi a Milano e in Italia.

PN: Verso quale direzione sta andando la progettazione del verde d’interni?
GA: Per gli esterni il non plus ultra resta il Bosco, un modello di riferimento mondiale. Per gli interni, dovendo fare smart working alternato alla presenza, gli spazi lavorativi saranno sempre più rivisti. Noto con estremo piacere che sta sempre più prendendo piede l’inserimento del verde perché anche gli uffici siano vivibili come lo sono le nostre case.

PN: In zone che non possono contare sul pescaggio di acqua di falda come invece succede a Milano, come si può provvedere in modo sostenibile a questo fabbisogno “energetico” vitale per le piante? Con l’argilla espansa?
GA: L’argilla sostiene come substrato ma non genera riserve idriche. Dove c’è meno acqua bisogna lavorare sull’irrigazione smart, che contiene gli sprechi, e ad una progettazione del verde che preveda specie vegetali poco “assetate”. Dove invece manca l’acqua, ridurre i prati e orientarsi su giardini con tappezzanti a ridotto consumo.

PN: Quale progetto in Italia e nel mondo avresti voluto seguire?
GA: Seguendo BAM possono ritenermi soddisfatto. Nel mondo sicuramente la High Line di New York, un parco lineare realizzato su una sezione in disuso della sopraelevata, un progetto molto bello e ambizioso.

PN: Ti giriamo una domanda che abbiamo rivolto anche all’agronoma paesaggista Laura Gatti: tu parli alle piante?
GA: Lei cos’ha risposto?

PN: Che sono le piante a parlarle perché quando la vedono urlano “aiuto aiuto questa ci porta su!”.
GA: Risposta molto bella (ride). No, non parlo alle piante, mi basta osservarle per ascoltarle e capirle.

PN: Cosa ti dà gioia nel tuo lavoro? 
GA: Veder progredire un progetto da zero, prendere forma e vederlo finito passando attraverso mille problemi e contrattempi che poi si risolvono. Sono fortunato perché faccio un lavoro che mi piace con persone che lavorano con gioia e questo mi dà gioia. Ah, dimenticavo, non preoccupiamoci di una piantina in camera da letto, non fa venire il mal di testa, siamo sempre noi a consumare più ossigeno e ad emettere più CO2.

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