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Ristorante Berton. Nato sotto una buona stella.

20/04/2024

Friulano di origine, 52 anni di vita di cui 25 passati in cucina, chef Andrea Berton inizia sotto la guida niente popo di meno che del maestro Gualtiero Marchesi, crescendo e affinando la propria arte nei migliori ristoranti del mondo (come il prestigioso Mossiman’s a Londra, l’Enoteca Pinchiorri a Firenze e il Louis XV di Montecarlo sotto Alain Ducasse), fino ad atterrare al Trussardi Scala (2 stelle di fila più 3 Forchette dal Gambero Rosso e altrettanti Cappelli nella guida dell’Espresso). “Ogni giorno passavo davanti al cantiere di Porta Nuova Varesine e pensavo: il mio ristorante nascerà lì”. Oggi chef Berton è il titolare dell’omonimo ristorante (stellato) in Portanuova, proprio dove espresse il desiderio di aprirlo. Forse già avvistando la stella che molti anni dopo l’avrebbe raggiunto?

PN: Si legge di te che presenti piatti moderni con una valorizzazione degli ingredienti di base e la rivelazione di alcuni poco conosciuti. In breve, che cucina proponi? 
A.B.: La mia idea di food consiste in piatti chiari ma con ingredienti inusuali, come ad esempio la tapioca o le radici, un tempo poco valorizzati, oggi sempre più in voga. Questa è la mia impostazione.

PN: Dove nasce la tua passione per la cucina? 
A.B.: Fin da bambino mi piaceva molto mangiare e quando intorno ai 10, 12 anni mio padre mi portava al ristorante adoravo soffermarmi davanti alla porta della cucina per spiarci dentro, quasi a volerne carpire i segreti. Mi affascinava la frenesia che animava quel mondo nascosto alla vista dei commensali. Ecco, furono proprio queste “scappatelle” dalla tavola a quelle porte a far scattare la molla.

PN: Quale sapore ti porti dentro fin da bimbino? 
A.B.: Quello del pane, soprattutto quel suo profumo che ancora oggi mi rimanda a quando, andando a scuola, passavo davanti ad un panificio con la porta sul retro aperta: da lì (ancora una volta il tema della porta…) si liberava in tutta la via quell’adorabile, inconfondibile odore buono e confortante che ancora oggi per me rappresenta il mondo della cucina.

PN: Quale pane preferisci? Elaborato o semplice?
A.B.: Il pane fatto con passione e con le farine giuste.

PN: Com’è arrivata la stella? La inseguivi o si è presentata per conto suo?
A.B.: Noi lavoriamo bene in primis per soddisfare gli ospiti, se poi arrivano i riconoscimenti bene ma è una conseguenza, una gratificazione anche per il team e la brigata e stimolo per migliorarsi ulteriormente: la stella è solo un punto di partenza per alzare l’asticella, non un punto di arrivo.

PN: L’ambiente del tuo ristorante è definito “sofisticato e contemporaneo, in linea con le architetture del quartiere”. Hai adeguato il ristorante al quartiere o lo stile di Portanuova era già nelle tue corde?
A.B.: Accendo quest’ultima opzione. Infatti, quando lavoravo da Trussardi, ogni giorno passavo davanti al cantiere di Porta Nuova Varesine e pensavo: il mio ristorante nascerà lì. Vedevo il cantiere che cresceva. Volevo un mio ristorante in un luogo ancora di nessuno per scriverci la mia storia da zero. E il mio ristorante non solo è stato la prima attività commerciale della zona ma anche la sua prima presenza in assoluto visto che in Portanuova non c’erano ancora abitanti, a parte in Gae Aulenti. Sono proprio partito in solitaria.

PN: Molto convincente anche la promessa di “una cucina dove i sapori sono sempre riconoscibili al palato”. Effettivamente le cucine “contaminate” da varie influenze spesso coprono i sapori che invece dovrebbero evidenziare…
A.B.: È un po’ la mia filosofia di cucina: il gusto deve essere chiaro e distinguibile per creare un piacere “riconoscibile”. I piatti li penso e li sviluppo sempre con a monte questo ragionamento.

PN: Vai mai al mercato? 
A.B.: Il mercato va vissuto, frequentato, conosciuto. Frequentarlo richiede tempo e costanza, io ho comunque il mio circuito di fornitori di alta qualità. Ogni tanto, comunque, un giro al mercato me lo faccio, mi rilassa e mi ispira.

PN: Chi pensa a Berton pensa al “brodo nobilitato a piatto vero e proprio” …
A.B.: Quando ho aperto volevo proprio creare il menu brodo perché fino ad allora era un ingrediente secondario, per me oggi è un protagonista, da versare prima o dopo sul piatto o da servire a parte, caldo o anche freddo. Non è solo comfort food invernale, è un ingrediente che valorizza i piatti. Lo preparo anche al cioccolato. C’è anche chi prepara il brodo fritto, con una copertura esterna che contiene il liquido, giocando sulle diverse consistenze. In Italia siamo troppo legati alle tradizioni e un po’ scettici nei confronti delle innovazioni e dei cambiamenti malgrado la grande creatività che ci contraddistingue.

PN: Cos’ha rappresentato la nomina ad Ambasciatore EXPO del 2015?
A.B.: Una grande avventura: sono entrato in un sistema che ha dato grande risalto al nostro paese oltre che a Milano, a vantaggio di tutta la filiera.

PN: In cucina sei severo? E comunicativo o taciturno/concentrato?
A.B.: Disciplinato, anteponendo a tutto il rispetto delle aspettative del cliente. Non mancano naturalmente momenti di sdrammatizzazione con la brigata.

PN: Se un piatto salta come lo giustificate al tavolo?
A.B.: Non succede quasi mai, abbiamo un’organizzazione che impedisce che questo accada. Ma l’incidente può accadere, nel qual caso tamponiamo il ritardo proponendo dell’altro o improvvisando al momento qualche soluzione alternativa.

PN: Insegni cucina alle future leve della grande cucina oltre che praticarla?
A.B.: Capita che faccia degli interventi ad esempio alle scuole alberghiere. La formazione è comunque alla base del nostro lavoro, la facciamo ogni giorno al nostro ristorante.

PN: Hai una clientela tipo?
A.B.: 60% italiani e 40% stranieri, di ogni tipologia, gusto e provenienza.

PN: Nella cucina del tuo ristorante hai ricavato un angolo che accoglie un tavolo per 2. Come funziona?
A.B.: È liberamente prenotabile e permette di vivere in diretta e in loco “il sapore” del nostro lavoro, gustando i piatti di un menu libero proposto da me.

PN: Hai 3 menu. Quale caratteristica ha il Portanuova?
A.B.: Piatti vari, tutti complessi e molto “inclusivi”, con proposte di carne, pesce e volatili, adatti ad una degustazione allargata a tutto il tavolo.

PN: Frequenti Portanuova anche fuori lavoro?
A.B.: Difficile farlo perché vivo in cucina dalle 9 del mattino fino ad oltre la mezzanotte. Comunque la adoro, mi piace passeggiarci e guardarmi intorno.

PN: Sei sensibile alle tematiche in materia di sostenibilità ambientale? Se sì, in che termini attui il tuo impegno?
A.B.: Da sempre e ovunque abbia lavorato ho avuto grande attenzione al contenimento degli sprechi, alla selezione di materie prime possibilmente locali, alla sostenibilità in ogni suo aspetto. Ad esempio, abbiamo un sistema di ricambio costante dell’aria molto superiore rispetto alle reali esigenze, banchi cucina rialzati per non far piegare le persone e molti altri accorgimenti per il benessere delle persone, nel rispetto dell’ambiente. Tutto questo, e molto altro, è per me sostenibilità, dalla lampadina a ridotto consumo ai nuovi mezzi di mobilità quotidiana.

PN: Hai qualche piatto fuori menu oggi?
A.B.: Più che fuori menu ogni giorno proviamo nuovi piatti ad uso interno che non proponiamo ai clienti ma che sperimentiamo inter nos. Ieri sera ad esempio abbiamo immaginato un piatto di passatelli di farina di buccia di piselli. Un’altra porta che si apre oltre “il solito brodo”.



Ristorante Berton è in via Mike Bongiorno 13

https://www.ristoranteberton.com/